“Le crisi e le avversità spesso diventano occasione di crescita interiore”
[Isabel Allende]
2020, un anno che ci ha colti impreparati. Un anno che ci ha messo davanti ad una delle sfide più grandi che la nostra generazione abbia mai vissuto.
Nel 2020 abbiamo conosciuto un virus che tutt'ora ci perseguita, il SARS-CoV-2 (meglio conosciuto come Covid) e che ha rivoluzionato totalmente le nostre vite: mascherine, distanziamento fisico, lockdown, restrizioni. Un cambiamento inaspettato e che, come se non bastasse, ha portato tante persone, tanti nostri cari, a perdere la vita oltre che la propria quotidianità.
Non ci sono termini per descrivere quello che abbiamo e che stiamo tutt'ora affrontando, perché sì, purtroppo questa terribile pandemia persiste tutt'ora e ancora non ci è dato sapere quando potremo finalmente dire di essercene liberati.
In quest'articolo però non voglio fare una descrizione della situazione attuale che tutti noi conosciamo, voglio piuttosto condividervi una riflessione che ho avuto modo di fare nell'ultimo anno e che spesso trasmetto alle società con cui ho il piacere di lavorare.
Perché concentrarci su ciò che di negativo questa pandemia ci ha lasciato purtroppo non è efficace per progredire e tantomeno lo è per il nostro umore; amo molto di più invece cercare di vedere l'altro lato della medaglia, quello che questo momento negativo può insegnarci.
Anche perché, prendendo spunto dalle parole di uno dei più grandi geni dello scorso millennio:
“"Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose. La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall'angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura.
È nella crisi che sorge l'inventiva, le scoperte e le grandi strategie. Chi supera la crisi supera sé stesso senza essere superato”
[Albert Einstein]
Affermazioni forti, decise, ma che condivido in pieno. Perché la crisi ci permette e ci obbliga ad uscire da quella zona di comfort che molti di noi amano spronandoci ad evolvere, a progredire o, per usare un termine recente, ad essere antifragili e ad apprendere dalla nostra esperienza quotidiana.
Quali insegnamenti possiamo trarre da questa pandemia?
Ormai da più di un anno sperimentiamo questa condizione altamente limitante da un punto di vista sociale e non possiamo fare altrimenti se decidiamo di mettere al primo posto la nostra salute.
La pandemia ci ha tolto la possibilità di confrontarci fisicamente con l'altro. Gli atleti, a meno che questi non competano a livello professionistico, hanno perso la capacità di gareggiare e di esprimersi attraverso quella sana competitività tipica dello sport.
Tutto questo però ci può permettere di fare un passaggio decisivo che a livello mentale può far davvero la differenza: la transizione da quella che viene definitiva motivazione estrinseca ad un tipo di motivazione intrinseca.
Un passaggio che molto spesso permette di discriminare, fin dalla giovane età, gli atleti dal grande potenziale.
Che cosa si intende per motivazione estrinseca ed intrinseca?
La differenza sostanziale tra questi due tipi di motivazione sta nel perché facciamo un qualcosa e nel tipo di obiettivo che cerchiamo di raggiungere.
Quando parliamo di motivazione estrinseca ci riferiamo ad una motivazione tipicamente finalizzata al raggiungimento di un risultato esterno (ad esempio: un trofeo, un premio, punti in classifica). Si esegue quindi un attività per ottenere in cambio una ricompensa di tipo esterno che ripaghi degli sforzi che sono stati fatti.
Questo tipo di motivazione si differenzia invece da quella che viene definita motivazione intrinseca in cui gli obiettivi che l'individuo si trova a perseguire cercano di soddisfare propri bisogni e gratificazioni interne piuttosto che esterne. Si parla essenzialmente in questi casi del soddisfacimento di bisogni psicologici di base relativi all'autonomia, alla competenza ed alla relazione (ad esempio: riuscire ad acquisire una nuova abilità, battere un proprio record personale, mantenere saldi legami sociali). In questi casi, il soggetto fa l'attività e ne ottiene direttamente una propria gratificazione personale che può originare da: divertimento, piacere, soddisfazione o crescita personale.
Come fare nella pratica questo passaggio?
Concentrarci su quello che non abbiamo e che non possiamo avere non è assolutamente funzionale perché non ci permette di evolvere.
Possiamo però fare i conti con quello che abbiamo e ripartire per cercare di imparare qualcosa di nuovo e propositivo per la nostra crescita.
Questo passaggio obbligato che la pandemia ci sta costringendo a fare ci può infatti permettere di competere costantemente con noi stessi piuttosto che con l'avversario. Spostando quindi il focus verso un metro di paragone sempre idoneo a quelle che sono le nostre potenzialità. In questo modo non si corre il rischio né di confrontarsi con standard troppo elevati, né troppo inferiori e sotto-stimolanti.
Competere con noi stessi ci permette inoltre di avere un avversario sempre a nostra disposizione e che non dipenda da disponibilità in termini di tempo o luogo.
Un insegnamento prezioso soprattutto se ci troviamo a lavorare con giovani atleti perché può davvero dar loro la possibilità di avere una crescita continua e progressiva all'interno del loro sport che li permetterà nel medio-lungo periodo di raggiungere i risultati desiderati.
Una visione che valorizza il processo piuttosto che il risultato e che ha come obiettivo il riconoscimento dello sforzo e della competizione, quella sana.
Messaggi che è possibile trasmettere sia con semplici parole, ma anche con azioni concrete in cui l'obiettivo si concretizzi in una crescita personale e non nell'ottenere un risultato specifico.
Mi piace parlare in termini pratici e questa visione infatti si concretizza nel creare situazioni di gioco o di rendimento in cui siano monitorati i punteggi dei singoli atleti e siano loro riproposti nelle successive esercitazioni dando loro un unico obiettivo: battere il loro
precedente record.
Un esempio? nell'esecuzione di una stazione monitoro i tempi di ogni singolo atleta, li trascrivo, e nell'allenamento (o rotazione/giro) successivo dò loro questo riferimento spronandoli a fare di meglio.
Una sfida avvincente quella di poter battere sé stessi, non credi?
E quando la pandemia finirà?
Quando questa pandemia finirà e potremo finalmente riprendere quel contatto fisico e sociale che tutti noi amiamo, il mio augurio è che questi insegnamenti permangano e che si riesca a farne tesoro per continuare a crescere e migliorarsi. Perché una delle sconfitte più grandi è proprio quella di dimenticarci del nostro passato, un passato che ci ha segnato, ma che può comunque insegnarci tanto.
Sarà quindi necessario imparare a far convivere, anche con la presenza fisica dell'avversario, un atteggiamento favorente la motivazione intrinseca in modo da permettere anche una maggior soddisfazione derivante dalla pratica sportiva.
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